L’inizio di un’era: la nascita del feudo e della contea di Vignanello


Vignanello fino al 1531

Fino al 1531, Vignanello fu soggetto a vari “Domini”, “Vicarii”, “Gubernatores”, assegnato a varie Abbazie e Ospedali, a cui fu venduto e poi ricomperato, ma non ebbe mai nessun rapporto di feudalità.

Il feudo, nel secondo significato (in latino “feudum”), era costituito da un insieme di diritti di natura pubblica in un certo ambito territoriale (il merum et mixtum imperium ovvero la giurisdizione penale e civile, oltre a vari censi e imposte), concessi da un re o da un principe territoriale, in cambio dapprima anche qui della fedeltà vassallatica, e più tardi semplicemente di denaro.

Nel 1531, Vignanello era pertinenza dell’Ospedale di S. Spirito in Sassia, il cui “commendatore” era Carlo Ariosto, un Vescovo nativo di Ferrara, vicario e canonico della Basilica Vaticana, e insieme, per dispensa di Clemente VII, vescovo di Acerra. Fu dallo stesso Papa fatto prefetto del palazzo apostolico, cariche che mantenne anche quando succedette nel governo dell’Ospedale di S. Spirito, come precettore o commendatore, a Leonardo Buonafede. Morì nel 1532.

I Vignanellesi mal sopportavano tale governo e si abbandonarono a violenze, costringendo il papa ad inviare un Commissario, Francesco Taneredo, accolto favorevolmente dalla popolazione.

Tuttavia, la Comunità era sempre estremamente aggravata dall’essere governata da più persone, e così decise di mandare un’ambasciata al Papa Clemente VII per chiedere di essere assoggettata al solo dominio della Reverenda Camera Apostolica. Furono scelti come ambasciatori Salvatore de Tano, Alessandro Todeschino, Menico de Tomao e un certo Grassello.

Non era la prima volta che il Papa doveva dirimere questioni fra i Vignanellesi e i vari ufficiali che ne avevano la gestione. Nel passato in varie occasioni si era usato talvolta il pugno duro, talvolta le blandizie. Stavolta, anche per risolvere altre questioni che vedremo, Clemente VII scelse una strada diversa.

La creazione del feudo

Accogliendo apparentemente le lamentele dei Vignanellesi circa la gestione dell’Ospedale di S. Spirito, con breve del 28 Aprile 1531[i], dà in contea Vignanello a Beatrice Farnese Baglioni del ramo di Latera, “ex mera nostra liberalitate” e come atto di donazione. Con questo atto Vignanello veniva assegnato “in perpetuum, in Feudum Nobile, et antiquum” , anche se i proventi alcune attività legate alla vita quotidiana (il macello il forno, l’osteria ecc.) venivano per il momento lasciate alla comunità. Il feudo poteva essere donato, venduto, ipotecato e dato in dote, e si sarebbe trasmesso ereditariamente secondo la linea maschile, o in mancanza di essa, secondo quella femminile.

BAGLIONI

STEMMA BAGLIONI

Si badi bene, si parla di “feudo” non ancora di “contea”!

Ovviamente, l’infeudazione, come abbiamo visto, comportava anche dei diritti sul territorio, e quindi l’Ospedale dovette rinunciare a quelli che aveva in quel momento, cosa che avvenne nel Maggio del 1531[ii].

Dopo tale atto, Clemente VII, con un breve del 9 Luglio 1531[iii], potè cedere il possesso della terra a Beatrice Farnese Baglioni. Contemporaneamente, scrisse una lettera ai Vignanellesi[iv], che già si dichiaravano malcontenti, rassicurandoli che Beatrice avrebbe mantenuto le loro prerogative.

Così, il 20 Luglio 1531 in un consiglio generale Beatrice stabilì con la Comunità i Capitoli, le Convenzioni e i Patti, assicurando di non violare gli statuti esistenti, che risalivano al 1479.

Perché Beatrice Farnese

Ma perché Beatrice? E chi era questa donna che portava un cognome così importante, anche se appartenente ad un ramo collaterale?

Il motivo di tale concessione è da far risalire alle vicende della famiglia Baglioni, che dominava sui Castelli di Castel del Piero, Graffignano e Sipicciano. In particolare Eugenio IV eresse a Contea Castel del Piero.

La vicenda si può riassumere così:

  • Beatrice era sposata con Alberto Baglioni, Signore di Castellottieri, Sipicciano, e Graffignano. Da lui ebbe tre figli; il primogenito Alfredo, Ortensia e Lucrezia
  • Alberto presumibilmente muore nel 1522 lasciando erede il figlio Alfredo, allora minorenne. Fin dal 1520 Beatrice è dichiarata “Signora di Sipicciano”
  • alla morte del marito viene nominato a giugno 1522 tutore dei figli di Beatrice Galeazzo Farnese, fratello della madre
  • nel 1524 muore Giovanni Baglioni, conte di Castel del Piero , appartenente ad un ramo diverso dei Baglioni e la sua eredità viene suddivisa: 2/3 ai figli di Fierabraccio Baglioni, Pirro e Giovan Carlo, e 1/3 a Alfredo, figlio di Alberto e Beatrice
  • Castel del Piero viene preso nel 1525 da Pirro Baglioni. Scacciato, il castello gli viene requisito e passa alla Reverenda Camera Apostolica, a cui anche il fratello Giovan Carlo cede la sua parte
  • dato però che una parte del castello era di Alfredo, e che la presenza di due autorità sullo stesso luogo non sembrava logica, la stessa Revernda Camera Apostolica vende ad Alfredo la parte di Pirro e Giovan Carlo. La parte, valutata 1800 scudi o ducati, viene pagata 500 in contanti, dato che 600 furono abbonati per i danni subiti da Sipicciano, e 700 per i lavori fatti dallo stesso Alfredo per restaurare Castel del Piero
  • Alfredo dona i suoi possedimenti alla madre Beatrice, e muore nel 1530
  • Clemente VII riabilita Pirro, e per compensare Beatrice della perdita di Castel del Piero, restituito a Pirro, gli da in feudo Vignanello, considerato cento volte superiore come valore.

La Contea

Ortensia Baglioni, come si dovrebbe più correttamente chiamare, ma che mantenne per motivi di importanza il cognome materno Farnese, secondogenita di Beatrice.

Ortensia aveva sposato, probabilmente nel 1531, Sforza Marescotti, un esponente della aristocrazia bolognese, che era giunto a Roma dopo avere anche militato sotto Carlo V, che lo raccomandò a Paolo III Farnese. Il Papa lo nominò governatore di Ascoli e si adoperò per il suo matrimonio con Ortensia.

Fu proprio Paolo III, con bolla del 4 Febbraio 1536[vi] conferma ed approva la donazione fatta da Clemente VII del Castello di Vignanello a Beatrice Farnese e ad Ortensia figlia di lei e Sforza Vicino Marescotti suo marito, con tutte le sue pertinenze ed altro a favore dei suoi eredi e successori dichiarandoli Conti  con il canone di libbre tre di cera lavorata da pagarsi ogni anno nella festa di S. Pietro e Paolo.

STEMMA MARESCOTTI FARNESE SULLA PORTA DEL CASTELLO

STEMMA MARESCOTTI-FARNESE SULLA PORTA DEL CASTELLO DI VIGNANELLO

La bolla non solo elevava a Contea Vignanello, ma concedeva ai feudatari tutti quei proventi (macello, forno, pizzicheria, osteria, ecc) che nell’atto del 1531 erano invece stati dichiarati appartenere alla comunità. Ai Conti veniva anche assegnato il diritto di transito e di incamerare i proventi delle pene. Infine il Pontefice concedeva ai Conti lo “juspatronatus” sulla Chiesa del castello intitolata a S. Biagio.

Così, nel giro di cinque anni, Vignanello assumeva quella connotazione definitiva di Contea che, attraverso varie fasi storiche, durerà per circa 285 anni, fino al il 22 ottobre 1816 quando, in seguito alla riforma Consalvi, l’allora Conte di Vignanello Francesco Ruspoli rinunciò ai diritti baronali con atto notarile rogato dal Notaio Nicola Nardi.

©MAURIZIO GRATTAROLA FEBBRAIO 2016

 

[i] Archivio Segreto Vaticano (ASV) Fondo Ruspoli Marescotti (FRM) faldone 194, doc. 3, “Copia della Bolla di Clemente Vii nella quale concede e da’ l’investitura della Terra di Vignanello a Beatrice del q.m Bertoldo Farnese e suoi Eredi e Successori”

[ii]ASV FRM faldone 200 doc. 3 “Il Rev.do Comendator di S. Spirito D. Carlo Ariosto cedette ogni raggion c’haveva nel castel di Vignanello e se n’e’ rogato M. Varisio not.o di camera a di’ … maggio 1531”

[iii] ASV FRM faldone 194, docc. 4-5

[iv] ibidem

[v], ASV FRM,  faldone 195, doc. 1

[vi] ASV FRM faldone 194, docc. 7 e 9