Vignanello nella storia (604-1531)

Premessa

Le seguenti note  servono per tracciare, in un modo abbastanza organico, gli eventi che permettono, con qualche dubbio, di tracciare la presenza di Vignanello nella storia.

I dubbi derivano essenzialmente dai seguenti fatti:

-le fonti originali sono spesso riportate in altre fonti e in molti casi non si è potuto vedere il documento originale. Questo comporta che ci possano essere dei dubbi circa la correttezza della trascrizione, come si è potuto constatare in alcuni casi in cui si è potuto comparare il documento originale con una delle trascrizioni

-la localizzazione di siti con toponimi che possono ricondurre all’attuale Vignanello è in molti casi di difficile identificazione. Nel Lazio, allo stato delle mie conoscenze, esistono solo due altri luoghi con toponimi simili: Giulianello, una frazione del Comune di Cori, e un “Iulianellum” talvolta identificato come “castrum dirutum” nella Sabina.

-la discrepanza che si è trovato fra varie fonti

Anche con queste forti limitazioni, la principale delle quali, lo ripeto, è la natura del dilettante che le ha stese, credo sia utile aver redatto queste note perché si pongono in una posizione intermedia fra chi guarda alla storia di Vignanello  in termini molto localistici e chi invece lo cita solo al volo quando lo stesso viene citato in qualche documento in riferimento alla storia con la S maiuscola.

L’altra cosa utile è il fatto che si sia riusciti a reperire la maggior parte delle fonti relative a quanto si cita nel testo: questo non solo a supporto di quanto si va dicendo ma anche in funzione di permettere una più attenta analisi del contenuto delle fonti stesse.

La storia di Vignanello segue ovviamente la storia della Tuscia e del Patrimonio di S. Pietro, a cui rimane indissolubilmente legato fino all’annessione al Regno d’Italia nel 1870.

 

 

Grafia e origine del nome

Proprio perché una delle possibilità di identificazione in vari documenti è data dal toponimo, prima di iniziare il percorso si riporta la tabella con le varie grafie finora ritrovate:

 TOPONIMI

Sull’origine del nome, oltre ad un articolo di “Pinco Pallo” apparso sul “Puzzoloso” qualche tempo fa, che in sostanza ripercorre su testi locali le grafie sopra riportate, si cita per curiosità quanto scritto da un erudito del XVIII secolo, l’Abate Don Luigi Sarzana in un testo intitolato “Dissertazione critico sepolcarle sopra un paganico monumento” scoperto nei pressi di Viterbo, e pubblicata sempre a Viterbo nel 1788:

“Quella terra, che sul giogo della Montagna Ciminia si possiede dalla Ecc.ma Casa Ruspoli, pe’ i pochi fuochi che faceva; come scrivono i suoi antiquarj; dal vocabolo latino Ignis fu nominata da prima, non mica Ignello, ma Ignanello, ed anteposta alla vocale I. la consonante V. Vignanello. Dal viterbese cronista Lanzillotto trascritto da Niccola della Tuccia , a cart. 5 è nominata Iugnianello; in una copia fattene più tardi si legge Giugnanello, ed in un’altra Giuganello; esso Lanzillotto memora che fu donata a Viterbo dall’Imperator Federico I. padre d’Enrico, sicchè ciò seguì nel sec. XII. In progresso di tempo dal nome di Giulia Farnese  si disse Giulianello, non Giuliello Giulietto, ed in un Breve d’Onorio PP. IV. richiamato da Bonifacio PP. VIII. nel 1295 in una controversia inter Ursum Ursini, et Viterbiensis, …leggesi di fatto espressa Giulianello: tenimentum castri Iulianelli, Oggi è detta comunemente Vignanello”.

Silvestrelli lo fa discendere da Julia, figlia di un re Tigrane.

604

Nel 604 l’area corrispondente all’Alto Lazio era una zona di confine fra il Ducato Romano, uno dei territori ancora in mano bizantina, e le terre occupate dai Longobardi. Le sedi vescovili di Tuscania, Bolsena, Bagnoregio, Orvieto e Orte sono in mano bizantina, come Sutri, mentre Sovana è in mano longobarda.

Il primo documento ufficiale nel quale si parla di un luogo con identificativo simile a Vignanello (ammesso che si tratti del “nostro” Vignanello) è un privilegio del pontefice Gregorio I a favore della basilica Vaticana a cui donò «olivetum in fundo Iunianiello, quod Simon Abbas ….Massa Pollonis» nell’anno 604[1] citato dal Petrucci[2] in modo errato come “olivetum in feudo Julianelli”. Lo storico Cocquelines sostiene che tale donazione potrebbe risalire non a S. Gregorio I, ma a S. Gregorio II, nel 730[3]. La “Massa Pollonis”, ammettendo che la lacuna nel testo consenta di attribuire a lei il “fundum Iunianiellum”[4], è di difficile identificazione. In alcuni casi, viene identificata con un “fundum Ampollonis” localizzato vicino Subiaco. In questo caso il “fundum Iunianellum” potrebbe non essere l’attuale Vignanello.

Si badi bene alla grafia del nome, ci torneremo in seguito.

Il Tomassetti[5] ci aiuta a capire meglio il concetto di “massa”, un aggregato di poderi (“fundus”). Il termine tardo-latino, noto per sole quattro iscrizioni, è reso in italiano con “tenuta”. Il Tomassetti aggiunge anche di non essere d’accordo col termine “tenuta”, in quanto le “massae” erano seconde per importanza  solo alle città. Siamo quindi in presenza di un luogo importante. Chi abitava le “massae”? Sempre secondo il Tomassetti coloni di condizione servile.

 

Lagrimanti cita a pag. 2 lo stesso testo di Paolo de Angelis con parole che io non sono riuscito a trovare documentate:

“Etenim si antiquitas ejus inspiciatae abeo a nobis distans est, ut Gregorius Magnus in ejus diplomaterelato a Paulo de Angelis in adnotationibus ad Romam in descriptione Basilicae Vaticanae praeclari huis oppidi (Vignanelli) jam ab anno 604mentionem specialem haberuit”.

742-751

Papa Zaccaria ottiene dal longobardo Liutprando i quattro castelli di Bieda, Orte, Bomarzo e Amelia, ma la zona dei Monti Cimini rimane in mano longobarda. Il Papa inizia ad esercitare concreti diritti di sovranità sul Patrimonio di S. Pietro, corrispondente al Lazio attuale. La Cancelleria Papale, dopo la perdita da parte bizantina di Ravenna, nel 751, redige il “Constitutum Constantini”, ossia il falso documento della donazione di Costantino a Silvestro I.

753-754

Una missione del Papa Stefano II e del rappresentante dell’Imperatore, Giovanni, volta a convincere Astolfo re dei Longobardi a restituire le terre conquistate si risolve in un nulla di fatto. Stefano II prosegue il suo viaggio e va a contattare Pipino Re dei Franchi. In cambio del riconoscimento della dinastia carolingia, che era considerata usurpatrice dei Merovingi, e del titolo di “Patricius Romanus” a Pipino, lo stesso Pipino con la“Promissio Carisiaca” (da Carisum in Piccardia),  promette di donare al Papa Stefano II, fra gli altri, anche i territori della Tuscia. Tuttavia, questo accordo, causa la mancata sconfitta da parte di Pipino dei Longobardi, non poté essere attuato per altri venti anni.

773-774

Carlo Magno, figlio di Pipino il Breve, scende in Italia e sconfigge Desiderio, Re dei Longobardi, ponendo fine al loro dominio sull’Italia. I Ducati Longobardi vengono soppressi e sostituiti con contee e marchesati, dando inizio al feudalesimo.

Carlo Magno, giunto a Roma dopo aver attraversato con il suo esercito la Tuscia, conferma ad Adriano I con la “Promissio Romana” le donazioni dei territori.

781

Nonostante il riconoscimento di cui sopra, la parte settentrionale della Tuscia rimane sotto il dominio franco.

786-787

Carlo Magno consegna alla Chiesa Sovana, Tuscania, Viterbo, Bagnoregio, Orvieto, Ferento, Castro, Orchia e Marta.

800

Carlo Magno viene incoronato Imperatore a Roma. L’alleanza fra Chiesa e Monarchia dà vita al più grande progetto imperiale del Medio Evo.

814-817

Carlo Magno muore, gli succede il figlio Ludovico detto il Pio, molto meno capace di lui di tenere a bada i vari feudatari. Inizia uno spezzettamento del regno franco, suddiviso fra i i primi tre figli di Ludovico.

Privilegium” di Ludovico il Pio con Pasquale I in cui si confermano le donazioni alla Chiesa, citando nel documento  i centri della Tuscia Bieda, Sutri, Nepi, Gallese, Orte e Bomarzo[6].

852

In una lettera di Leone IV (847-855) scritta su richiesta del Vescovo di Toscanella (Tuscania) Vomobono, vengono specificati i confini e i luoghi spettanti a quel Vescovato[7].

Fra gli altri possedimenti viene citato un “Vilianellum Monachorum”. Probabilmente i monaci erano quelli dell’ Abbazia di S. Elia sub Pentoma, nella zona dell’attuale Castel S. Elia. Il Lagrimanti[8] è incerto circa il fatto che il toponimo fosse relativo a Vignanello, anche se poi afferma di esserne convinto. Ora, dato che si parla di Tuscania, la identificazione con l’attuale Vignanello è ragionevole.

887-888

 

Fine dell’Impero Carolingio. Nell’Europa Centrale si creano due stati, uno francese e uno tedesco, in lotta fra di loro per la conquista dell’Italia. I re italiani si appropriano dei territori oggetto della donazione. Al papa rimane solo Roma, mentre gli altri territori sono formalmente sotto il Regno di Germania.

 

In questo periodo il Papato fu essenzialmente sotto l’egida dei Duchi di Spoleto, con duchi di origine carolingia prima e germanica dopo. L’influenza germanica inizia con Alberico I, marito di Marozia e padre di Alberico II, che fece imprigionare la madre. Alberico II dominò Roma dal 932 alla sua morte avvenuta nel 954, proprio mentre iniziava l’ascesa di Ottone I.

 

955

Elezione di Giovanni XII e tentativi di riconquista dei territori italiani. Lotta con Berengario II, Re d’Italia, confermato da Ottonme I Re di germania. Dissapori con il patriziato romano, favorevole al mantenimento dello Status quo.

 

962

Ottone I, chiamato a Roma da Giovanni XII per cercare il suo appoggio per la riconsegna dei territori, viene incoronato imperatore, e conferma con il “Privilegium Ottonianum”[9] al Papa i territori che la Chiesa aveva ottenuto con precedenti trattati. Tuttavia l’Imperatore mantiene una sorta di tutela militare sugli stessi territori. Inoltre, l’Imperatore doveva ratificare l’elezione del pontefice. Lo stesso Ottone I trasforma i 93 vescovadi italiani e tedeschi in contee; i vescovi divengono feudatari, col titolo di visconti (vescovi-conti).

Nel Regesto del Convento di S. Silvestro de Capite a Roma, è conservata una bolla dell’8 Marzo 962[10]. In essa Giovanni XII conferma i possedimenti già in possesso del Convento all’abate Teofilatto. Fra gli altri possedimenti, nella pertinenza della Diocesi di Orte, vengono citati:

“Moiana, Toiana, Occiana, Antiquni…Surano, Betruano, Casale Pingiano, Terenzano, Centumcelle Coriliano, Ponzanelle, Cembriano, Collicello, Iulianello, Sepuniano” tutte pertinenti alla “Massa Ortana”.

963-964

Giovanni XII, spaventato della possibile ingerenza tedesca, cerca un riavvicinamento al re d’Italia Berengario attraverso il figlio Adalberto che sta tentando di resistere nel nord della penisola all’ingerenza tedesca. Ottone si insedia a Pavia, capitale del regno d’Italia, e marcia su Roma. Giovanni XII prima si rifugia a Tivoli, poi fugge in Corsica. Ottone I indice un concilio, e fa dichiarare decaduto Giovanni XII, eleggendo al suo posto un laico, col nome di Leone VIII. Mentre Ottone I lascia Roma per Spoleto, Giovanni XII si reimpossessa di Roma per un breve periodo. Muore nel 964.

1002-1014

Viene eletto Re di Germania, alla morte di Ottone III, Enrico II, che, a causa della situazione tedesca, si occupa poco dei territori italiani. Nel 1013 appoggia i Conti di Tuscolo nella successione al soglio pontificio, e viene incoronato Imperatore il 14 febbraio 1014.

1020

Con il “Privilegium Heinrici”[11] dell’Imperatore Enrico II a Papa Benedetto VII vengono nuovamente confermati i possedimenti della Chiesa. All’Imperatore spettava comunque la ratifica dell’elezione del pontefice.

1024

Morte di Enrico II e fine della dinastia sassone, sostituita da quella francone con Corrado II il Salico.

1059

Niccolò II nel Concilio Lateranense abolisce il “Privilegium Othonis”, e stabilisce che l’elezione del Papa sarebbe stata privilegio di un collegio di Cardinali. E’ l’atto che darà vita alla cosiddetta “lotta per le investiture”, che contrapporrà papato e Impero dal 1074 al 1122.

1073

Elezione al soglio pontificio di Ildebrando di Soana col nome di Gregorio VII. Inizia un’opera moralizzatrice della Chiesa e vengono gettate le basi per le controversie col Papato. Gregorio VII emette una serie di ventisette proposizioni, riassunte nel “dictatus papae” (il documento è di epoca incerta), fra le quali le più importanti sono quelle relative a:

-unicità del Pontefice Romano di essere dichiarato universale

-esclusività sull’insediamento e deposizione dei vescovi (da qui la lotta per le investiture)

-possibilità di deporre gli imperatori

-infallibilità della Chiesa Romana

1074

Per resistere all’influenza dell’Abbazia imperiale di Farfa, Gregorio VII potenzia l’Abbazia di S. Paolo fuori le Mura come una sorta di stato monastico-feudale fedele al Papa, conferendogli un vasto territorio comprendente Cesano, Monterosi e altri luoghi.

La bolla relativa emessa il 13 Marzo 1074[12] cita una “Massam Julianam cum castello Julianellum, cum colonis, et colonabus”, come pertinenza del Monastero di S. Paolo. Ma la cosa più importante, anche al fine di capire una possibile origine del toponimo, è l’affermazione che il Tomassetti (citato) fa sul fatto che la maggior parte delle ”massae” ha il nome derivante da quello di un antico possessore.

A parer mio l’identificazione con l’attuale Vignanello è molto incerta, perché non esistono elementi di localizzazione certa. Tuttavia è significativo il fatto che nel documento venga citato dopo “Massam Caesanam” cioè l’attuale Cesano.

Una considerazione filologica: “castellum[13] è un diminutivo di “castrum” e quindi sta ad indicare un villaggio fortificato. La denominazione lascia intendere che ci fosse una “massa”, tipicamente una suddivisione amministrativa del “patrimonium” della Chiesa, con luogo fortificato che faceva probabilmente da punto di riferimento per il territorio.

1076

A seguito della deposizione di Gregorio VII voluta da Enrico IV e imposta ai vescovi tedeschi, il Papa scomunica l’Imperatore e lo dichiara decaduto. Enrico IV, anche a seguito delle proteste di alcuni vescovi tedeschi, scende in Italia e chiede a Canossa il perdono del Papa, che glielo concesse a fronte di un giuramento di fedeltà. La questione rimase comunque irrisolta, a causa di continue contestazioni da una parte e dall’altra. In realtà il Papa revocò la scomunica ma non la decadenza.

1079-1102

In un momento imprecisato,Matilde di Canossa, marchesa di Toscana, dona tutti i suoi territori al Papa. Sia il documento del 1102 che tutta la vicenda è molto dibattuta e ci sono molti dubbi sull’autenticità della donazione.

1122

Concordato di Worms, fra Enrico V di Franconia e Papa Callisto II. In base ai termini dell’accordo l’imperatore rinunciava al diritto di investire i vescovi dell’anello e del bastone pastorale, simboli del loro potere spirituale, riconoscendo solo al Pontefice tale funzione, e concedeva che in tutto l’impero l’elezione dei vescovi fosse celebrata secondo i canoni e che la loro consacrazione fosse libera.

Il papa, a sua volta, riconosceva all’imperatore il diritto, in Germania, di essere presente alle elezioni episcopali, purché compiute senza simonia né violenza (e anzi come garante del diritto e sostenitore del vescovo metropolitano), e di investire i prescelti dei loro diritti laici (cioè i diritti feudali). Inoltre, sempre e soltanto in Germania, l’investitura feudale precedeva quella episcopale, con un divario massimo di sei mesi. In Italia e in Borgogna, invece, la consacrazione episcopale precedeva quella feudale.

Col concordato di Worms termina la lotta per le investiture.

Mentre i papi e gli imperatori si contendevano il diritto di concedere feudi, le varie popolazioni, fino ad allora trasmesse da un feudatario all’altro come animali, si resero conto della propria forza ed iniziarono a organizzarsi in Comuni. Ai feudatari nominati dal Papa o dall’imperatore sostituirono magistrati eletti dal popolo. Non potendo contenere il desidero di libertà e nel tentativo di volgerlo a proprio vantaggio, Chiesa ed Impero fecero a gara nel concedere franchigie ai Comuni per ottenere in cambio l’aiuto delle loro milizie. I partigiani dell’imperatore ebbero il nome di “ghibellini” e quelli del Papa “guelfi”.

I comuni, con le loro delibere consiliari, ordinanze, ecc. crearono il nuovo diritto italico, una nuova arte e la lingua italiana: riconoscevano al pontefice la sola autorità spirituale, senza accettare interferenze civili.

Nella Tuscia i primi comuni furono Viterbo, Orvieto, Tuscania e Castro. I piccoli centri, per non rimanere isolati, si allearono con i comuni maggiori, promettendo loro di corrispondere un canone annuo e di far guerra o pace a loro comando. La formula di alleanza era: semplice “sarai amico dei miei amici e nemico dei miei nemici”. Le varie promesse erano giurate sui Santi Vangeli.

I comuni avevano la passione irresistibile di allargare il proprio confine. Seguirono guerre e patteggiamenti fra comuni per cui i castelli delle nostre regioni passarono e ripassarono per oltre un secolo da una parte all’altra. Castro e Sovana dovettero lottare contro Siena per il possesso della Maremma, Orvieto contro Viterbo per il possesso della valle del Lago di Bolsena, Tuscania contro Viterbo sempre per il possesso della Val di Lago, Viterbo contro Roma per tradizionale inimicizia.

Molte fasi della lotta fra papato e imperatore ebbero per teatro Viterbo e Orvieto, le quali, ora favorite dal Papa, ora carezzate dall’Imperatore, dovettero necessariamente parteggiare per l’uno o l’altro dei contendenti.

1150 circa

La designazione di Patrimonio di S. Pietro diventa sostanzialmente ufficiale, indicando il territorio compreso fra il Mar Tirreno e l’Appennino, e da Acquapendente a Ceprano. Negli anni immediatamente successivi, Papa Eugenio III acquisisce Vetralla e i castra di Petrignano, Piansano e Mezzano. Adriano IV continua questa opera, acquisendo Orchia e Orvieto, che viene riconosciuto come Comune, Castiglione in Teverina e Proceno.

1154-1169

Sono gli anni dell’incoronazione di Federico I Barbarossa (1155), e dei contrasti fra Papato e Impero. Fra il 1157 e il 1159 Adriano IV acquista una serie di castra per farne dei punti di forza nel territorio, nei quali in Tuscia Corchiano, Orchia e Canepina. Fra il 1160 e il 1161 Federico I occupa lo Stato Pontificio da Acquapendente a Ceprano; nella Tuscia rimangono sotto il dominio papale solo Orvieto e Castro. Nel 1165 Federico I espugna Viterbo, mentre si reca a Roma con l’antipapa Pasquale III. Nel 1167 il Barbarossa entra in Roma, e la Tuscia è ormai stabilmente sotto il suo dominio. Viterbo estende nel frattempo la sua influenza nell’area.

1169

Prima del 1169, in un periodo imprecisato, Vignanello fu molto probabilmente comune autonomo direttamente sotto Federico Barbarossa. Nel 1169, secondo il resoconto del Bussi[14], autore di una storia di Viterbo, Vignanello insieme ad altri castelli fu donato al comune di Viterbo da Federico Barbarossa quando Viterbo stessa si assoggettò spontaneamente all’Imperatore, che gli conferì il titolo di città e gli donò anche il vessillo imperiale. Viterbo è governata da un podestà, Ildebrandinus degli Aldobrandeschi.

Il Bussi cita la cronaca di Lanzellotto che nel citare Vignanello usa la grafia “Jugnianello”. Torneremo su questa grafia. Niccolò della Tuccia fornisce una versione leggermente diversa; dice che Vignanello fosse donata ai Viterbesi da Federico I Barbarossa nel 1170 durante il suo viaggio di ritorno, come risposta alle lamentele dei Viterbesi per i danni provocati ai campi e alle vigne dai suoi soldati:

“ [I viterbesi] insensati mandorno ambasciatori all’Imperatore, pregandolo dovesse partire dalle loro terre, perché sue gente facevan gran danno dell’uve delle vigne e dei campi. L’Imperatore disseli: o insensati, voi non conosciete il vostro bene,, chè per questi pochi frutti acquistate gran tesori di questi che muoiono; ma poiché non conoscete il bene vi contenterò. E donò alla comunità di Viterbo Vignanello” [15].

La versione riportata nella Cronaca di Anzellotto nel “Buonarroti” è simile ma cambia la grafia:

“et donò allo detto comune de Viterbo Giugnanello, et poi feo donatione de detta Ciptà ad un suo figliolo chiamato Enrico, acciocchè fusse fonno dotale de Madama Costanza moglie del detto suo figliolo”.[16]

Va sottolineato il fatto che il Lacrimanti non fornisce alcuna informazione dal 1169 al 1254. Né Bussi né Niccolò della Tuccia danno alcuna indicazione circa la situazione del “castellum” in quel momento.

1172

Il 4 gennaio dell’anno suddetto viene stilato una convenzione fra Viterbo e Vignanello[17].

ll documento[18] è il seguente:

Pag. 20 Ex codice mebranaceo Archivi Secreti Viterbien inscripto = Margherita seu Regestum Communis Viterbii factum tempore Raineri Gatti Capitanei Viterbien = 4. Jan. 1172 Viterbienses promittunt Populo Julianelli eum defendere sicut unum de aliis Castellis Viterbii = et si Consules Viterbii pro aliquo negotio in Romania (Romanium) ibunt, predictum castrum semel in anno mane et sero dabit victualia hominibus et equis = et ipse populus tenetur annuatim solvere 40 solidos infortiatorum Consulatui de Viterbio = Insuper ad pacem et guerram de Viterbio sicut alia castra de Viterbio esse debet, excepto contra PP et Imperatorem; et Dominum Specialem ipsius castri =”.

La versione riportata dal Pinzi (vedi nota 10) recita :”Nos…. Consules Viterbiensis… talem conventionem fecimus cun populo castri Iulianelli, ut ammodum Consulatus et populum Viterbi, castrum ipsum et personae…. adjuvare et defendere, sicut unum de aliis castellis de Viterbio…. salvo omni jure et reddito domini ipsius castelli”.

Quanto riportato dal Garampi differisce dalla versione del Pinzi almeno nell’ultima frase, quella relativa al termine identificativo (castrum e castellum) e al padrone del luogo.

La motivazione di questo atto non è chiara, ma quello che la frase sopra riportata lascia intendere è che il “castellum” era di proprietà di una famiglia, probabilmente quella dei Prefetti di Vico[19].

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Julglanellum P[rae]fecti

Sembrerebbe immaginarsi che qualcosa sia successo fra il 1169 e il 1172, per necessitare di un nuovo atto, forse la conquista da parte dei Prefetti, se erano loro i padroni del “castellum”, oppure l’atto fu stilato perché Viterbo, nel 1172 e per circa un anno, tentò di liberarsi del giogo imperiale, in questo sobillato dal Pontefice Alessandro III. Sempre nel 1172 Viterbo distrugge Ferento.

1177  

Pace di Venezia fra Papa e Imperatore, conseguente alla sconfitta di Barbarossa nella battaglia di Legnano del 1176.

Una bolla di Alessandro III[20], che nel frattempo era tornato a Roma essendosi pentito l’antipapa, afferma che l’Abbazia di S. Elia Sub Pentoma, localizzata a Castel S. Elia, possedeva “In Castello Julianello ecclesiam Sancti Blasii” e “In Castello Fabricae ecclesiam Sancti Silvestri”. Quindi il “castellum” in quest’epoca aveva almeno una chiesa, anche se l’unica chiesa di S. Biagio a Vignanello di cui si ha al momento memoria è fuori del perimetro della città più antica.

C’è solo da evidenziare che in Sabina esisteva un “castrum Iulianelli” con una chiesa di S. Biagio, ma dovrebbe poco a vedere con l’Abbazia di cui sopra.

1178

Viterbo, dove nel frattempo si era rifugiato l’antipapa Callisto III, viene espugnata da Cristiano di Maganza, cancelliere imperiale, che aveva l’incarico di ricondurre lo stato sotto la sovranità pontificia.

1181-1192

I Papi si allontanano da Roma a causa dei continui tumulti: Alessandro III e Lucio III riparano a Viterbo, poi quest’ultimo si sposta a Venezia. Nel 1186 Enrico VI espugna Viterbo, e nel 1187 si insedia nella Tuscia come reggente. Nel 1188 si stipula un accordo fra Enrico VI e Papa Clemente III, che ottiene alcuni territori della Tuscia, fra cui Viterbo, Orvieto, Corneto, Vetralla e Orte.

1193

La Tuscia è data in governo da Enrico VI al fratello Filippo, duca di Svevia, il quale viene scomunicato da Celestino III.

1195

Filippo nomina Pietro di Vico, Prefetto di Roma, Duca di Tuscia.

In un documento “Cartula Refutationis filiae Johannis Caparronis super Civitate Castellana, anno 1195[21] viene citato “Julianellum” dove le persone che stilano il documento di rinuncia posseggono dei fondi.

1198-1204

Si ristabilisce in qualche modo il controllo papale in Tuscia, grazie ad Innocenzo III, che nel 1203 nomina Tommaso Carzoli, suo cognato, nuovo Rettore del Patrimonio in Tuscia.

1211

Il Monastero di S. Elia sub Pentoma fu riunito di nuovo da Innocenzo III al Monastero di S. Paolo. Nella bolla relativa[22] si menziona fra i beni di S. Elia un “fundum Vinianellum cum omnibus suis pertinentibus  in integrum posito in territorio Sutrino”.

1228

Vignanello viene diroccato dai viterbesi perché non aveva tenuto fede ai  patti di vassallaggio ed aveva aiutato i romani nell’ultima guerra “non sappiamo se istigato o no dai figli di Tebaldo dei Prefetteschi, allora signore di quella terra[23].

Cosa era accaduto? Il popolo romano, aizzato dai fautori di Federico, ovviamente ghibellini, avevano cacciato a Pasqua del 1228, dopo la scomunica inferta a Federico, il Papa Gregorio IX. Lo stesso papa si rifugiò a Viterbo, per poi andare a Rieti, una volta vista l’avanzata dei Romani in Tuscia.

Nell’aprile del 1228, i Romani attaccano Viterbo, città più importante del Patrimonio e della Tuscia, ma la città stessa, ben fortificata, resiste.

Allora i Romani vanno all’assalto del Castello di Rispampani, e lo prendono promettendo 3000 libbre di moneta, poi tornano a Roma.

A quel punto i Viterbesi decidono di punire i castelli che si erano schierati a favore dei Romani, fra cui Vignanello, forse proprio perché di dominio dei Prefetti, ghibellini. Niccolò della Tuccia scrive:

“Nel detto anno [1228 ndr] li Viterbesi distrussero Vignanello e Damiata” (altra grafia dice “Ignanello, Ramiata e altre castella”)[24]. Damiata in alcune versioni viene definita “torre di Damiata”, mentre la grafia di Vignanello è in alcune versioni riportata come “Iugnianello”.

1230

Il 13 Giugno 1230, a due anni di distanza dagli eventi del 1228[25]  i Vignanellesi a Viterbo “promiserunt toto tempore guerre inter Viterbienses et Romanos  non rehedificare castrum Iulianelli in totum vel in parte, nec aliquam domum vel capannam seu criptam facere in Iulianello, nec in ipso receptare, et nullam datam vel servitum dare vel facere Praefectis vel filiis Tebaldi prefecti vel alicui pro eis” e di aiutare Viterbo  “contra omnes personas, praeter quam contra dominos eorum, silicet filios Teobaldi de Praefecto…”. Non è chiaro se questo atto fosse una conseguenza degli eventi del 1228, come sostiene il Pinzi[26], o un nuovo atto seguito ad altre vicende.

Secondo Silvestrelli[27], la famiglia dei Prefetti allora non dominava più in Vignanello, e il castello si reggeva a Comune; ma il popolo s’impegno verso di essa famiglia a neutralità.

Quanto riportato nell’atto trascritto dal Calisse non aiuta a meglio capire la situazione, in quanto si evince che le persone mandate in rappresentanza dei Vignanellesi avevano piena facoltà di decidere per la comunità, e contemporaneamente si dice che i padroni erano i figli di Tebaldo dei Prefetti. Probabilmente in qualche modo i Prefetti avevano la proprietà o delle mire su Vignanello, come vedremo negli eventi del 1282.

1232-1233

Viterbo distrugge Vitorchiano, che viene ricostruita dai Romani.

1234

Gregorio IX dichiara l’inalienabilità di alcuni castra di importanza strategica, fra cui in Tuscia figurano Montefiascone, Orchia, Montalto, Radicofani, Proceno, Acquapendente e Bolsena[28].

Viterbo è costretta a giurare vassallaggio ai Romani in lotta contro il Papa.

1235

In seguito alla vittoria di Viterbo e degli Imperiali, la città viene sciolta dal vassallaggio con i Romani.

1237-1240

Dispute e lotte fra Federico II e il Papa, che lo scomunica. Federico II invade alcune province pontificie, e annette Viterbo, elevandola al rango di capoluogo provinciale e concedendole vari benefici.

1243-1244

Viterbo viene riconquistata dal Papa, grazie al Cardinale Raniero Capocci, a cui viene conferito il titolo di legato. I Romani distruggono Ronciglione e tolgono Capranica e Vico all’Imperatore. Viterbo distrugge il Castello di S. Lorenzo, dove si erano rifugiati i nobili filo imperiali. Innocenzo IV, visti inutili i tentativi di una pace con l’Imperatore, fugge da Sutri a Lione. L’autorità papale nei territori nei territori ecclesiastici viene concessa al Cardinale Raniero Capocci, che ottiene anche la carica di luogotenente del Patrimonio in Tuscia. Le truppe vengono mantenute grazie al contributo dei vari monasteri del Patrimonio.

1245-1246

Federico II, scomunicato, depreda e brucia Acquapendente. Poi, mantenendo Montefiascone, Vetralla, Toscanella e Vitorchiano, devasta il resto del Patrimonio in Tuscia, prendendo Vico e Bieda che viene distrutta.

A causa della ribellione dei comuni, il papato aveva perso il controllo dello Stato della Chiesa. Nel 1261 lo stesso Papa Urbano IV, fu costretto a fuggire da Roma, divenuta libero comune, per rifugiarsi a Viterbo, Orvieto e Perugia. Nel 1263, a Bolsena, durante la Messa uscì sangue dall’Ostia consacrata, macchiando il corporale del dubbioso prete Boemo che la celebrava. Papa Urbano proclamò la festività del Corpus Domini e fece costruire ad Orvieto la cattedrale per conservare il corporale con il sangue di Cristo. La politica di Urbano IV fu quella di costituire una propria base territoriale nella Tuscia, dalla quale recuperare Roma. Fece rinforzare la rocca di Montefiascone e, con guerre e trattative, recuperò Marta, Valentano e le due isole sul lago di Bolsena.

La situazione politica era precaria, i ghibellini di tutta Italia facevano pressione su Manfredi, Re di Sicilia, affinché desse fine allo Stato della Chiesa e cingesse la corona d’Italia.

Per contrastare Manfredi il Papa si rivolse alla corte di Francia, offrendo il regno di Manfredi a Carlo D’Angiò, fratello del Re di Francia. Anche i viterbesi si lasciarono convincere e decisero di prendere le armi in favore della Chiesa. Francesi e Viterbesi sconfissero le milizie saracene di Manfredi, ed i suoi sostenitori ghibellini. Nel frattempo Urbano IV morì, ma i suoi successori poteronorientrare a Roma da vincitori.

1254

Il 30 Luglio Vignanello rinnovò, con altri luoghi, il patto di sudditanza a Viterbo[29] e successivamente nello stesso anno fu infeudato, con Rocca del Veccio, dai consoli della città di Viterbo alla famiglia Ildebrandina (Aldobrandeschi) che ne affidò il governo ad Orso Orsini[30].

Gli Aldobrandeschi in quel periodo governavano su una vasta zona della Maremma,a sinistra dell’Ombrone e che “il dominio degli Aldobrandeschi al principio del XIII secolo si  estendeva sopra a forti 72 castella”[31].

Qui non è chiaro che cosa fosse successo alla signoria dei Prefetti di Vico, a meno che, come sostenuto precedentemente, Vignanello non fosse stato per un lungo periodo di tempo un comune autonomo. C’è da tener conto che i Prefetti, passati dalla parte imperiale a quella papale agli inizi degli anni ’40 del 1200, furono oggetto di ritorsione da parte di Federico, e molto probabilmente fra le altre terre perdettero anche Vignanello, sempre ammesso che la notizia del Bussi sia corretta.

La dominazione degli Aldobrandeschi e di Orso Orsini proseguì, fra alterne vicende, almeno fino al 1315.

Nel Lagrimanti, troviamo una nuova mancanza fino al 1455.

1278

Niccolò III Orsini nomina Prefetto di Viterbo il nipote Orso Orsini.

1280-1285

Morto Niccolò III Orsini (22 Agosto), Riccardo Annibaldi, d’accordo con Carlo d’Angiò, tolse, durante il conclave a Viterbo, la podestà della città ad Orso Orsini. I Viterbesi addirittura imprigionarono i due Cardinali Orsini, Matteo Rosso e Giordano.

Nel 1282 “ne seguì grande guerra fra gli Orsini e i viterbesi, ai quali accrebbe forza l’unione con Pietro di Vico… Entrarono gli alleati sul territorio nemico; e Vallerano, Soriano, Castigliane in Teverina, Cornienta, Vignanello con molti altri luoghi furono desolati. Distruggendosi ovunque le messi, e quanto veniva in mano a’ feroci soldati”[32].

Alla fine “lo perdettero gli Orsini nella guerra dei viterbesi contro di loro del 1282, e fu allora di nuovo diroccato”.[33]

Il Prefetto Pietro di Vico, alleandosi con i viterbesi, privò l’Orsini del governo di Vignanello. Questo sembrerebbe rafforzare in qualche maniera l’ipotesi che per un periodo Vignanello fosse comune autonomo.

Onorio IV, eletto Papa alla metà del 1285, fu scelto come arbitro della contesa, e cercò di comporre il dissidio fra Orso Orsini e Pietro di Vico[34], per i castelli di Vallerano, Rocca Altia, Castiglione, Corbiano Fratta e Vignanello[35]. Con la “Sententia pontificis supra discordia inter nobiles viros Ursum Ursinum et Petrum de Vico de quibusdam castris exorta” emessa il 4 settembre 1285 o 1286, stabilì che questi castelli spettavano ad Orso Orsini. La grafia riportata nel testo trascritto è “Iullanellum”.[36]

 

1315-1317

Nel sito del Progetto RiNaSco dedicato a Vignanello, nel sunto della storia del paese, è dichiarato che nel 1315 Vignanello fu nuovamente infeudato alla famiglia Ildebrandina, sostenitrice della causa ghibellina. Non ho trovato riscontri documentali, ma quello che è interessante è che fra il 1315 e il 1317 nel Patrimonio, diviso fra le due fazioni guelfe e ghibelline, ci fu un tentativo di rivolta contro il Vicario del Rettore Gagliardo Vescovo Bernardo di Coucy[37].

Siamo nel periodo avignonese del papato, e quindi era prassi che la gestione delle terre italiane del papato venissero affidate a personaggi francesi. Questo ovviamente valeva anche per il Patrimonio di S. Pietro in Tuscia. Il Vicario risiedeva in Montefiascone.

In breve, Orvieto, si badi bene guelfa, decide di liberarsi del giogo di Bernardo di Coucy e quindi riunisce una confederazioni di città e castelli per assaltare Montefiascone. Fra questi l’Antonelli (vedi nota 27) cita a pag. 182 “i Signori di Giuliano”, dicendo nella nota relativa che si trattava di “piccolo castello”. I confederati, aiutati dal podestà di Montefiascone e da altre famiglie, riescono a rinchiudere Bernardo di Coucy nella rocca e gli danno assedio.

Per contrappasso, e soprattutto non per ragioni politiche ma solo per rivalità, Viterbo ghibellina, guidata da Manfredi di Vico, corre in aiuto di Bernardo. I guelfi, impreparati a quell’assalto dall’esterno, si danno alla fuga abbandonando l’assedio. La conseguenza immediata fu che Montefiascone fu sottomessa a Viterbo. Successivamente le operazioni belliche andarono avanti anche nel 1316, soprattutto fra Orvieto e Viterbo, finché non si giunse ad una faticosa pace, ratificata da un documento edito in Montefiascone l’11 ottobre 1316 o 1317.

 

In questo documento, fra gli altri firmatari vengono citati “nobiles viros domines de Iuglano, Ninum, Angelutium eius filius, fratrem Robertum, Voccafollem eius nepotem, Peponem et Meum et Ildribandinum eius filium dominos de castri Iuglani, et omnes ipsorum et cuiuslibet ipsorum familiares et familias, vassallos et fidelse ipsorum et contra dictum castrum. Commune et homines castri Iuglani[38].

Ora, in attesa di vedere se si riesce a consultare il documento originale, la mia presunzione è che si tratti di un errore di trascrizione o dell’estensore del documento originale oppure dell’Antonelli e che Giuliano o Iuglanum non sia altro che Vignanello.

Se l’ipotesi fosse corretta, ciò vorrebbe dire che Vignanello in quel momento era almeno apparentemente schierata con i guelfi, e che non fosse sotto l’autorità di Viterbo.

1318-1320

Dopo gli eventi narrati precedentemente, Giovanni XXII rimuove Bernardo di Coucy sostituendolo con Guglielmo Costa, Rettore della Sabina, che prese le redini del Patrimonio il 31 ottobre 1317.

E qui inizia di nuovo lo scontro fra il papato e i di Vico. Guglielmo tolse al figlio di Manfredi di Vico, Bonifacio, Gallese, poi proprio con l’aiuto di Orvieto “ne fece correre e predare gli aviti possessi di Vico, Giulianello e Bieda[39].

Guglielmo muore il 3 Settembre 1319 e viene sostituito da Guitto Farnese Vescovo di Orvieto, che per prima cosa prepara una dettagliata relazione sulla situazione del Patrimonio. In questa  relazione a Papa Giovanni XXII (1320)[40] Vignanello è menzionato come Julglanellum Preafecti. Questa menzione documentata di Vignanello come spettante nel 1320 ai Prefetti è preziosa perché il castello non figura nel Registro del card. Albornoz (1364), né in altri documenti consimili del secolo. Silvestrelli (citato) sostiene che“Vignanello era tornato ai Prefetti, e rimase loro”.

La gestione di Guitto lasciò molto a desiderare, e permise ai vari baroni del Patrimonio scorrerie e mlaversazioni. Fu sostituito da Roberto d’Albarupe nel 1323.

1320-1431

Allo stato attuale, per questo periodo, ho rintracciato solo una citazione contenuta in una pergamena conservata nell’Archivio Capitolino, datata 31 Marzo 1393, citata dal Silvestrelli. Una copia è reperibile on line, ma la qualità dell’immagine, oltre a permettere l’individuazione del toponimo “Juglianelli” altro non permette. Silvestrelli sostiene che si tratti della vendita di metà Vignanello, insieme a Trevignano e Monterosi a seguito di disposizione testamentaria di Giovanni Orsini per saldare sua moglie Maria creditrice di somme dotali.  La descrizione data on line sul sito dell’Archivio Capitolino lo definisce un atto di vendita all’asta pubblica del castello di Trevignano (nel Lazio) colla rocca, territorio, lago etc. fatta dai Conservatori della Camera Capitolina, alfine di poter concordare una questione sopra Campo Salino, onde provvedere Roma del sale, pagare gli ufficiali della Camera Capitolina, e varie spese di guerra. La vendita fu deliberata a favore di Giovanni Orsini di Jacobello, per la somma di settemila fiorini d’oro.

Da quanto si dirà dopo, si può ragionevolmente pensare che in questo periodo così turbolento per la Provincia del Patrimonio di S. Pietro, con le lotte fra le varie fazioni, l’intervento di Egidio Albornoz e altro, e che videro sempre fra i protagonisti i componenti della famiglia Di Vico, il paese rimanesse sempre sotto il dominio dei Di Vico stessi.

1431

All’inizio del 1431[41], i Colonna erano in guerra con Eugenio IV, che preferiva loro gli Orsini.

In quel tempo alla testa della famiglia dei Prefetti c’era Giacomo di Vico, che pensò di approfittare di questa nuova situazione per dare nuovo smalto alla famiglia.

Intervenne così, nel Maggio del 1431, in aiuto di Paolo Colonna, che al ritorno da una scorreria era stato assaltato dai Viterbesi presso Vetralla.

In quel momento i possedimenti di Giacomo di Vico comprendevano Tolfa Nuova, Casamala, Fabrica, Carbognano, Vallerano, Vetralla e fra gli altri anche Caprarola e Vignanello. Costui dovette sostenere vari assalti dei Viterbesi, a cui rispondeva non solo con gli atti ma anche con le parole, dicendo che finché Giacomo di Vico fosse stato vivo, nessuno dei suoi possedimenti sarebbe stato perso. A Caprarola aveva messo un suo capitano, detto il Signor de’ Campi, mentre a Vignanello aveva posto un tal Pietro da Vetralla, come si evince da una lettera scritta dai Vignanellesi ai Viterbesi.[42]

Tuttavia stavolta la fortuna dei di Vico durò poco, perché i Colonna, a causa delle potenti milizie pontificie, dovettero assoggettarsi ad Eugenio IV.

Così vari luoghi furono riconquistati dai pontifici. In particolare Vignanello fu ripreso da Niccolò Fortebraccio nel Novembre del 1431:

“Nicolò Fortebraccio mise campo a Casamola nel fondato verno, e in piccolo tempo acquistò Casamola, Caprarola, Fabrica, Carmignano, Vignanello, e Valerano”[43]

I di Vico si rifugiarono a Civitavecchia, ma anche lì furono assediati dalle milizie papali, finché non ottennero la possibilità di lasciare Civitavecchia e rifugiarsi a Siena.

1432-1435

Siena ed Eugenio IV sono in lotta. Siena decide che è più conveniente portare la guerra nei luoghi del Pontefice. Così, fra Luglio e Agosto, Giacomo di Vico, uscito da Siena con 400 fanti, riconquistò in poco tempo Vetralla, Bieda Casamala, Caprarola, Vignanello e Vallerano, per finire l’11 agosto con Tolfa Nuova:

“Ora fu fatto un consiglio tra li signori di Siena, il Prefetto, e Ludovico Colonna di far rompere la guerra nel territorio del Patrimonio contro la Chiesa. E così cenaro insieme una domenica sera; e lunedì di presente partissi il Prefetto e Ludovico Colonna da Siena e andaro a Grosseto; di lì mandaro 400 fanti per terra a Vetralla e all’altre terre già perdute, e con tradimento de’ terrazzani entraro in Vetralla togliendola alla Chiesa; così Bieda, Casamola, Caprarola, Carbognano, Vignanello e Vallerano,che anco si teneva e la Tolfa nova nell’11 di Agosto; e a dì 12 li Canepinesi entrorno in Vallerano, e misero a saccomano,  abrugiandolo tutto”[44]

La reazione delle milizie pontificie fu immediata e Fortebraccio cinse di assedio Vetralla, riconquistandola il 14 Ottobre 1432. La conseguenza fu che anche le altre terre riprese dal di Vico tornarono al papa, e il di Vico stesso fu costretto nuovamente a rifugiarsi a Siena:

“Sentito l’altre castella come Vetralla s’era renduta, subito Bieda si diede alla sorella del Conte Averso, che era moglie del Prefetto, e dessi alla Chiesa Giugnianello. Carbonano, Caprarola e Casamolasi diedero nelle mani di Nicolò il 17 di detto mese”[45]

Tuttavia Fortebraccio, istigato dal Duca di Milano, nel 1433 si rifiutò di riconsegnare la papa le terre riconquistate, con al giustificazione che non era stato pagato per i suoi servigi: “in questo mezzo (Nicolò) mandò fanti suoi, e rinforzò Casamala, Carbognano, e Giugnanello, e cominciò ad entrare in discordia col papa”[46].

 

Vignanello cercò di resistere: “Quelli di Giugnanello, come sentiro che Nicolò (Fortebraccio) era nemico del papa, subito presero quelli fanti mandati da detto Nicolò, e loro si tennero fermi per santa chiesa” [47]

Ma “nell’Agosto 1433 [Giacomo di Vico]  partì da Siena con 300 cavalli, e andò ad unirsi al Fortebraccio, che stava in campo sotto Castiglione in Teverina di Paolo Pietro della Cerbara. Volle tentare il 16 di agosto una scorreria fino ad Orvieto, ma fu sorpreso e cacciato indietro dalle genti del papa; e soltanto riuscì ai 19 dello stesso mese, di far tornare alla sua obbedienza la terra di Vignanello”[48].

Dice Nicolò della Tuccia:

“Item alli 19 di detto mese il prefetto mandò una sua femina a Giugnanello, quale subito si tolse alla chiesa, e dessi al prefetto, e detta femina li manteneva.” [49]

E ancora:

“Nel detto tempo all’entrar d’Agosto (1434) il prefetto tornò a Giugnanello che si teneva per lui, e menò seco 12 cavalli che più non haveva, e così povero coi suoi vassalli a rifar la rocca di Vallerano, che la maggior parte era rimasta in piede quando la terra fu abbrusciata”.[50] Giacomo di Vico era diventato stipendiato di Niccolò della Stella, che stava col Fortebraccio. Col suo aiuto riebbe Carbognano e Caprarola.

 

La reazione della Chiesa non tardò:

“Il Conte Dolce di Ronciglione partì da Roma… adunò seco Polo Todesco, il Conte Averso, Dolce suo fratello, Maso da Fiesoli, Giorgio da Nargni, e andò a metter campo a Vetralla, ove era il Prefetto di Vico il 13 Giugno, e guastolli tutte le biade di quell’anno. Alli 23 di detto mese si partì detto campo e andò a Casamala, Carbognano, Caprarola e Giugnanello e simile tutte le biade le guastò”[51]   

Il 30 Agosto 1435 Giacomo di Vico, rifugiatosi con i figli a Vetralla, viene catturato probabilmente essendo stato tradito: “nell’ultimo d’Agosto, stando già il campo a Vetralla, con consentimento di alcuni della terra, la gente del Patriarca entrò dentro, e gridorno viva la Chiesa. E subito senz’altra contesa fu acquistata la terra. Onde il prefetto con altri soldati forestieri fuggirno nella rocca e subito furno assediati. Poi medesimo dì detto prefetto scese dalla rocca co dui suoi figli rendendosi al patriarca, e fu mandato prigion nella rocca di Soriano. Nelli detti dì Casareala, Caprarola, Carugnano, Giugnanello, Vallerano e Orchie tutte si diedro alla chiesa”[52].

il 28 Settembre 1435 Giacomo, ultimo dei Prefetti di Vico, fu decapitato a Soriano e Vignanello passò sotto il dominio della Chiesa.

1437

Unificazione delle diocesi di Civita Castellana e Orte.

1443

Eugenio IV il 23 Luglio 1443 dà Vignanello in vicariato a 3° generazione ad Angelo di Domenico Roncone (o Roccone) di Rossano, condottiero[53].

1454-1458

Nel settembre del 1454 il popolo si rivoltò e cacciò il figlio di lui Giacomo, per l’imposizione di un dazio di 1000 ducati l’anno. Gli abitanti di Vignanello si danno per protesta ai pontifici. Contro Angelo viene mandato Tartaglia da Torgiano.

Nel 1454 Vignanello sembra essere sotto l’influenza di Viterbo, stante che rappresentanti di Vignanello parteciparono alle esequie di Princivalle Gatti, ucciso in un agguato a Vico[54]:

“Domenica adì primo di settembre fu fatto l’esequio di M.° Princiuallo nella piazza del Comuno, oue furono xi vestiti di negro,et foron copertati, et bandiere, strascinando con quaranta torci; mandonci a farli honore li Ambasciatori di Todi, Oruieto, Cornano, Baschi, Aluiano, Acquapendente, Bolseno, quelli di casa della Cerbara, quelli di casa Farnese, di Montefiascone, Bagnoregio, Vitorchiano, Soriano, Toschanella, Corneto, Vallerano, Giugnianello, Carbugnano, d’Angelo di Roncone,  de Bonifatio de Castelluccio, de Jacono de S. Jemino, de Terni…et de molti altri lochi, il Popolo de Canepina, il Popolo de Celleno, il Popolo de Bagnaja….”.

Angelo, dopo aver aiutato Everso dell’Anguillara in ritirata da Norcia contro cui invece era stato mandato dal Pontefice,  si reca a Roma nell’ottobre con un salvacondotto per riavere Vignanello, ma è fatto imprigionare da Niccolò V in Castel S. Angelo a causa  di alcune testimonianze che provano come si sia lasciato sfuggire a bella posta Everso dell’Anguillara a Civita Castellana. Viene decapitato su ordine del papa, che probabilmente era ubriaco, di notte con due generi, il 14 ottobre 1454 “tertia noctis hora”[55] e i corpi gettati nel Tevere legati a dei sassi.

Dopo queste turbolente vicende, Vignanello visse un periodo di anarchia e di inosservanza degli statuti locali; una delle conseguenze fu la rovina delle mura castellane. Così i Priori e la Comunità nel 1455 si rivolgono alla Reverenda Camera Apostolica per chiedere al Cardinale Camerlengo la metà dei proventi del nuovo mulino a grano al fine di restaurare la cinta muraria[56].

 Il Cardinale Ludovico Scarampi[57] con lettera del 28 Settembre 1455 accettò la richiesta fino a quattordici sacchi all’anno per quattro anni e contemporaneamente confermò ed approvò gli statuti locali.

Il 6 Agosto 1456 Vignanello fu venduto da Callisto III Borgia con “pacta redimendi” insieme ad altri castelli (“aliqua bona, stabilia ad nos et Romanam Ecclesiam spectantia”) all’Ospedale di S. Spirito in Sassia[58] per dodicimila fiorini per ricavare denaro da impiegare nella lotta contro i Turchi, che avevano conquistato Costantinopoli nel 1453.

Lo stesso Pontefice nel 1458 (lettera del 31 Luglio 1458) diede la prefettura urbana a  Don Pedro Luis Borgia, capitano generale d’armi della S. Sede, nominato a questa carica con bolla del 1456 (o 1457)[59], coi castelli considerati appannaggio della carica, ossia Vignanello, Carbognano, Vallerano, Orchia, Vetralla, Caprarola, Rispampani, Monte Romano, Campo di Mare, Tolfanuova, Civitavecchia, menzionati nella bolla. Con altra bolla della stessa data, il papa ordinò al percettore di S. Spirito di consegnare i feudi vendutigli nel 1456 ritirando il prezzo allora versato[60]. Ma il papa (5 agosto 1458)  e  Pedro Luis Borgia (26 settembre 1458)  morirono poco dopo. Pedro Luis, costretto a lasciare Roma a causa della rivolta dei Romani contro i cosiddetti “Catalani”,  morì mentre era in fuga verso Civitavecchia a soli 26 anni[61].

Pio II Piccolomini, successore di Callisto III, nominò al suo posto Antonio Colonna, e ricomprò Vignanello nel 1458  per quattromila scudi dall’Ospedale di S. Spirito in Sassia con Vallerano e Carbognano. Vignanello tornato alla Camera Apostolica che aveva sborsato i denari, fu da questa affittato oppure dato in vicariato perpetuo o temporaneo a familiari o personaggi vicini al pontefice regnante.

Nell’Agosto dello stesso anno 1458 il conte Everso dell’Anguillara, nella lotta per bande che in quel momento regnava nel Patrimonio, dopo aver imprigionato il commendatore di S. Spirito in Ronciglione, assale Vallerano e Vignanello[62].

Da quest’anno fino all’avvento di Beatrice Farnese Vignanello rimarrà sempre sotto il diretto controllo della Santa Sede e della R.C.A. retto da vicari nominati a vita.

Nel 1459, uomini di Vignanello parteciparono alla battaglia in Viterbo fra Alessio Tignosini, sodale di Everso dell’Anguillara e l’esercito pontificio con l’aiuto dei Gatteschi, sotto il comando di Bartolomeo Ravarelli, Arcivescovo di Ravenna e di un connestabile detto Pier Francesco da Bagni:

“Messer Galiotto de Clodi de Peroscia, che era Rettore del Patrimonio en quell’anno… subito ordinò di mandar soccorso alla Roccha per la Chiesia uno Contestauile chiamato Pier Francescho da Bagni colla sua fantaria, et entrò per la porta della Roccha con Messer Tolomeo Rouarelli Arcivescovo di Ravenna, che douiua uenire per nouo rettore, raccolse molte genti comandate per lettere della Chiesia, come da Sutri, Nepe, Civitacastellana, Orte, et dette Terre del Commendatore di S. Spirito, cioè Fabrica, Vignanello, et Vallerano, et anche de Canepina et de Suriano, et de Bagnaja…”[63]

C’è da notare che il cronista qui considera Vignanello come appartenente all’Ospedale di S. Spirito.

1460-1479

Pio II affidò il governo di Vignanello  nel 1460 a Lorenzo Boninsegni[64] senese. Tale governo, insieme a quello di Soriano nel Cimino, terminò probabilmente con la morte di Pio II, che era lo zio.

Nel 1462 infuriò una peste che colpì anche Viterbo.

Nel Giugno del 1465 Paolo II, eletto il 30 Agosto 1464, assegnò Vignanello, con Nepi, Civita Castellana, Fabrica e Vallerano a Chierighin Chierigato, condottiero vicentino, nominato da lui “revisor generale di tutta la soldatesca papale”. Chierighin Chierigato rimase in carica fino all’elezione di Sisto IV nel 1471[65]. Ora c’è però da notare anche una notizia riportata da Niccolo della Tuccia, il quale afferma:

“A. Domini 1465 gli usciti di Caprarola entrorno in Caprarola con le genti di detto Francesco e Diofebo [figli del defunto Conte Averso dell’Anguillara ndr] e tolserla a Menelao figlio di Iacomo de Vico, Menelao fuggì e andossene a Iugnianello”. L’episodio è sicuramente anteriore al Giugno, e fa pensare che in quel momento Vignanello potesse essere ancora sotto la sfera di influenza dei di Vico.

 Nel 1473 era Vicario di Vignanello Ser Tommaso de Marzi di Città di Castello, con luogotenente Ser Domenico del fu Ser Antonio di Fabrica[66]. In quest’anno uomini di Vignanello furono chiamati dal Governatore del Patrimonio per formare un piccolo esercito usato per forzare Montefiascone a restituire alcuni buoi a Viterbo:

“Il Popolo di Viterbo volevano tutti andare a campanare a Montefiascone e dargli battaglia fino a foco. Ma quel Governatore non voliva per niente, dicenno a detto popolo non voler mettere tanto ferro in fucina; e se questo consentisse non saria senza morte di molti uomini e grande scandalo; ch’esso ci voleva andare di persona senza nessun viterbese; e se non avessero obbedito detto governatore, che andasse tutto il popolo di Viterbo a fare il peggio che poteva. Di venerdì andò detto Governatore col popolo di Soriano, Bagnaja, Canepina, Vignanello(Jugnanello) e Vallerano. Per la qual cosa i Monetefiasconesi si raccomandorno al Governatore, e rendorno detti buoi a Viterbesi, e si renderno in colpa”[67]

 Sisto IV con bolla del 27 Aprile 1474[68] affittò per sette anni a Maurizio Cybo, nobile genovese, i beni e i diritti della S. Sede relativi a Vignanello e Vallerano.

 Il 6 Agosto 1479 era Luogotenente di Vignanello il Signor Alberto de Menuccioni Amerino, da Settembre a Novembre 1486 era Vicario Ser Gabriele de Olio da Vicenza, mentre  nel Marzo del 1487 era Luogotenente Ser Giorgio di Filippo di Roma[69].

1479-1489 Vignanello nel 1479 fu concesso in contea da Sisto IV della Rovere, con Carbognano, al Cardinale Stefano Nardini di Forlì, che lo amministrò insieme al fratello Conte Cristoforo, entrambi milanesi. Costoro nel 1479 compilarono il primo statuto di Vignanello in lingua latina. Il Primo Novembre del 1479, morto il Conte Cristoforo (militando per la chiesa nella battaglia di Colle Val d’Elsa, ottobre 1479), il papa ordinò a Stefano Nardini di investire il figlio di Cristoforo, Pietro Paolo, della contea di Vignanello e Carbognano[70].

Stefano Nardini muore in Roma il 22 settembre 1484.

Il Lagrimanti[71] riferisce che Pietro Paolo Nardini era Conte di Vignanello il 13 Agosto 1485 e Governatore il Sig. Pino d’Aste, che mantenne la carica fino al 1488[72]. Il Nardini, figlio di Cristoforo e di Contessina sorella di Roberto Malatesta, fu autore di una politica di malgoverno. Dice il Lagrimanti che questa manifestazione di malvagità venne fuori dopo la morte dello zio.

Pietro Paolo cercò nel 1489 d’impossessarsi di Soriano con un colpo di mano. Uccise nella rocca a tradimento il castellano Didaco de Carvajal postovi dal card. Borgia; e fece un segnale ai suoi uomini d’arme di penetrare nel castello. Ma gli abitanti non li lasciarono entrare, e assalita la rocca uccisero il Nardini e i suoi complici[73].

 La data, riportata dal Lagrimanti, è l’8 Novembre 1489.

 In dicembre, il papa, per ringraziare i sorianesi, condona loro le contribuzioni[74].

1489-1494

Alla morte di Pietro Paolo Nardini nel 1489, Vignanello chiese di tornare sotto il diretto dominio della Santa Sede, che durò fino al 1494.

Innocenzo VIII Cybo vi manda come Commissario straordinario Simone de Auria (Doria). L’annuncio viene dato con un breve del 21 Novembre 1489, integralmente trascritto dal Lagrimanti[75]. Riconosciuti i Vignanellesi estranei alle criminose attività del Nardini, venne loro concesso di tornare sotto la giurisdizione della R.C.A.[76]

 In una lettera del 7 dicembre 1489, il cardinal camerlengo Raffaele Riario, cardinale di S. Giorgio, concedeva una serie di privilegi alla comunità di Vignanello[77].

 1494-1503

Alessandro VI Borgia, successo ad Innocenzo VIII nel 1492, come primo atto di governo verso Vignanello, emise un breve il 30 maggio 1493[78] dove ordinava al Podestà, Priori e altri due cittadini di comparire in sua presenza entro tre giorni, sotto pena di indignazione[79].

 

Per ovviare a necessità finanziarie urgenti della Chiesa (recupero di gioielli impegnati ad alto interesse e previsioni di spesa per far fronte alla carestia di frumento), lo stesso Papa il 5 Gennaio 1494 sancisce la vendita dei castelli di Carbognano e di Vignanello, con tutte le loro pertinenze, alla cugina Adriana de Mila (1466-?), figlia di Pedro del Mila y Borja e di sconosciuta, per la somma di ottomila ducati di carlini, dieci per ducato. Alla morte di Adriana la proprietà passerà al figlio Orsino (1473-31 luglio 1500), avuto da Ludovico di Gentile Migliorati Orsini (1433-1489), signore di Bassanello; qualora Orsino muoia senza figli maschi, la proprietà passerà a sua moglie Giulia Farnese (1474-23 marzo 1524), poi a Laura Orsini, figlia sua e di Orsino, e ai successori di Laura in perpetuo[80]. Orsino aveva sposato Giulia Farnese La Bella il 9 maggio 1490 (contratto matrimoniale il 21 maggio 1489). L’atto di vendita è del 16 Gennaio 1494.

Il Papa con breve del 25 Febbraio 1494[81], comunica ai Vignanellesi di aver affidato il paese ad Orsino Orsini.

 Orsino Orsini si rese responsabile di una vera e propria guerra contro la comunità.  La rivolta dei sudditi fu così violenta che il pontefice il 6 maggio del 1498[82] dovette assegnare un commissario a Vignanello, Pietro Solis[83], per patteggiare una vera e propria tregua di un mese, con deposizione delle armi ed invio a Roma di rappresentanti della comunità per trattare le condizioni della concordia.  Il breve con richiesta di inviare 4 o 6 uomini è del 26 Maggio 1498[84]. Nonostante la missione del commissario non fosse andata a buon fine, la pace fu raggiunta, come si apprende da un breve dell’ 8 Agosto 1498[85], nel quale peraltro si fa menzione di frutti dovuti dalla comunità all’Ospedale di S. Spirito, dei quali fu nominato esattore un certo Battista di Domenico Vignanellese.

Orsino Orsini diede in pegno Vignanello per 10.000 scudi al Banco Spannocchi; il papa Alessandro VI pagò la somma il 29 febbraio 1500[86] e conferì il governo al figlio Cesare Borgia, detto il Duca Valentino, che divenne “dominus” di Vignanello.

Il governo del Valentino durò fino al 1503; egli nominò governatore di Vignanello (e di Soriano) il 24 settembre 1498 lo spagnolo Pietro Caranza, cameriere segreto del Papa, morto il 13 novembre 1501. Pietro Caranza firma il 18 marzo 1499 una sentenza dei confini fra Vignanello e Soriano[87]. Di questo dominio è fatto cenno in una procura rogata da Pietro di Ser Biasia notaro di Vignanello, contenente in un foglio volante una deliberazione consiliare, in data 20 Gennaio 1500, con la quale si dava mandato a Mariotto Maceroni o Marconi di intercedere per poter utilizzare i mille scudi impegnati verso il Banco Spannocchi per il restauro delle mura.[88]

Altro Governatore fu da prima del 7 aprile 1501 Don Ferrante de Sajos[89].

Alessandro VI morì avvelenato il 18 agosto 1503 e le fortune del Valentino finirono.

Successore di Alessandro VI fu Pio III (Francesco Todeschini Piccolomini), sostenitore dei Borgia,  che regnò per soli 26 giorni. Due giorni dopo la sua morte, avvenuta il 18 ottobre 1503, i Vignanellesi inviarono una supplica al Governatore di Vignanello e Soriano Don Petrus de Coffa, perché gli venissero restituiti i proventi richiesti da Orsino Orsini e Cesare Borgia[90].

1504-1531

Giulio II della Rovere, eletto l’1 Novembre 1503, in un breve del 22 gennaio 1504, confermò i privilegi già concessi ai Vignanellesi, e mandò loro il giuramento di fedeltà e di omaggio a Beltrando Alidosio o Aldosi (degli Alidosi), Vicario del suo congiunto Francesco, famigliare di Giulio II della Rovere, legato di Viterbo[91], governatore dal 22 Gennaio 1504[92] al 1510.

Qui si apre un punto da chiarire: nei patti dotali fra Niccolò Franciotti della Rovere (figlio di Luchina sorella di Giulio II e di Gianfrancesco Franciotti) e Laura Orsini del 16 Novembre 1505, Vignanello (“Giulianello”) è elencato nei beni dotali (diritti e crediti sui Castelli di Carbognano e Giulianello)[93] C’è da tener conto che Adriana de Mila, che in base al contratto di vendita del 1494, era la proprietaria di Carbognano e Vignanello, era morta il 5 Settembre dello stesso anno. Non si hanno al momento notizie di una retrovendita alla R.C.A. del castello di Vignanello. Quindi l’invio del breve che senso ha? E soprattutto quando Vignanello tornò ufficialmente con un atto formale alle dipendenze della R.C.A.?

Nel 1511-1512 all’Alidosi successe Matteo Ugonio, Viterbese, Vicelegato del Patrimonio e  Vescovo di Famagosta[94].

Nel 1512[95] o 1513 venne incaricato del governo vitalizio da Leone X dei Medici il Cardinale Francesco Guglielmo di Castelnau de Clermont-Lodève (1480-1541), italianizzato in Guglielmo di Chiaramonte, nominato cardinale il 29 novembre 1503 da papa Giulio II. Costui era figlio di Pietro Tristano, barone di Castelnau-Bretonoux e di Clermont-Lodève, e di Caterina d’Amboise, sorella del padre di Luigi, Carlo I d’Amboise, e arcivescovo di Narbona. Era commissario nominato il 20 Luglio 1513[96] Cristoforo Banchetti di Prato e Mariotto Perugino Luogotenente. Dottore ed uditore Carlo di Rosanij di Terni.

Guglielmo dopo cinque anni a metà del 1518 rinunciò al governatorato, cedendolo a Federico de Conti, abate di S. Gregorio confermato in questo incarico da Leone X con lettera del 10 luglio 1518[97]. Altra fonte ci indica che nel 1517 Vignanello era sotto la giurisdizione di Viterbo[98]Alla morte di costui nel 1520, Leone X con un breve del 7 Settembre nominò governatore Monsignor Domenico Capoferro o Capo di Ferro, fratello del Cav. Tiberio primo “Commendatore” documentato di Centignano[99]. A seguito del suo malgoverno nel gennaio 1523 la Comunità si ribellò al grido “Colonna, Colonna, Narbona, Narbona”, per cui Adriano VI nominò governatore il Cardinale Alessandro Cesarini, il quale delegò al Commissario Apostolico Antonio Correga genovese, fino al 1527.

La peste vi infierì nel 1527.

Nel 1528 Clemente VII de’ Medici concesse Vignanello all’Ospedale di Santo Spirito fino al 1531. Secondo quanto riporta il Petrucci (cit.) non si conserva in Vignanello il breve di investitura del Precettore di S. Spirito. Tuttavia, in un documento del 1528 (entrata del primo quadrimestre) viene indicato che Vignanello è sotto il governo del Precettore di S. Spirito.

I Vignanellesi mal sopportavano tale governo e si abbandonarono a violenze, costringendo il papa ad inviare un Commissario, Francesco Taneredo, accolto favorevolmente dalla popolazione.

Tuttavia, la Comunità era sempre estremamente aggravata dall’essere governata da più persone, e così decise di mandare un’ambasciata al Papa per chiedere di essere assoggettata al solo dominio della R.C.A. Furono scelti come ambasciatori Salvatore de Tano, Alessandro Todeschino, Menico de Tomao e un certo Grassello.

Il Papa accolse in parte le richieste dei Vignanellesi, rimuovendo dal governo del paese l’Ospedale di S. Spirito, ma contemporaneamente infeudò il paese a Beatrice Farnese di Latera.

[1]Appendice 1, documento riportato in “Basilicae Veteris Vaticana Descriptio” di Paolo de Angelis, anno 1646

[2] “Vignanello” Tipografia Annesini 1925, ristampa 1976, pag. 6

[3]Bullarum Diplomatum et Privilegiorum” vol. I, 1857, pagg. 227-229

[4] Il Lagrimanti (pag. 2) parla di “praeclari huius oppidi (Vineanelli)”, ma a me non risulta chiaro da dove derivi questa informazione.

[5] Tomassetti “La Campagna Romana nel Medio Evo”, ASRSP, vol. II

[6] “Codex Diplomaticus”, A. Theiner vol. I doc. III pag. 2

[7] Appendice 2, documento riportato nelle “Memorie Istoriche della città di Tuscania”, 1778, pag. 108

[8] Lagrimanti pag. 2

[9] “Codex Diplomaticum”, A. Theiner. Vol. I doc. IV pag . 4

[10] “Il Regesto del Convento di S. Silvestro de Capite”, V. Federici, Archivio della Società Romana di Storia Patria, vol XXII pag. 282

“I Papiri Diplomatici”, a cura dell’abate Giovanni Marini, Roma 1805, pag. 48

[11] “Codex Diplomaticus”, A. Theiner vol. I doc. VII pag. 7

[12] Appendice 3, documento riportato a pag. 212 delle “Dissertazioni della Pontificia Accademia

 Archeologica Romana” 1864

[13] Calonghi “Dizionario della Lingua Latina

[14] Appendice 4 in F. Bussi “Istoria della Città di Viterbo” Roma, 1742 pagg. 48-49; vedi anche Lagrimanti pag. 4

[15] Niccolò della Tuccia “Cronache” pag. 7 in Ignazio Ciampi, “Cronache e Statuti della Città di Viterbo”, 1872

[16] Anzillotto, Buonarroti s.3 v.3 n. 10 pag.339

[17] “Storia della Città di Viterbo” Cesare Pinzi vol.I, 1889 pag.190, Archivio Segreto Vaticano

(d’ora in avanti A.S.V.), Indice Garampi. 538, f.176

[18] Appendice 5 in A.S.V. Garampi 135 foglio 282 verso, “Memorie storiche ed ecclesiastiche

  raccolte dagli Archivi di Viterbo Montefiascone Orvieto Perugia nel viaggio fatto in quelle parti

  dal canonico Giuseppe Garampi e dall’ Ab:te Giovanni Conti nel Settembre dell’ A. 1752

[19] “Nel secolo seguente divenne feudo dei Prefetti”  “Città, Castelli e Terre della Regione

   Romana” G. Silvestrelli-M. Zocca, Bonsignori Editore, Roma 1970 vol. II pag. 696

[20] Appendice 6, riportata in “Le posterule tiberine” C. Corvisieri A.S.R.S.P., I, 164

[21]Antiquitates Italicae Medii Evi” Tomus Quintus pag. 846

[22] Appendice 7 Galletti “Del Primicerio della Santa Sede cattolica” , Roma Salomoni 1776 pagg.

333 segg.

[23] Pinzi I,300

[24]Cronaca”,Niccolo della Tuccia pag. 17

[25] Appendice 8, da Calisse  “I Prefetti di Vico”, A.S.R.S.P., X, 439, un sunto del documento è in

C.V. 9117, f. 122, ma Savignoni A.S.R.S.P. XVIII. 276 dice il 18

[26] Pinzi I, 301

[27] Cit. pag. 696

[28] “Codex Diplomaticus”, A. Theiner vol. I doc. CXXIV pag. 102

[29] Pinzi II,46, Lagrimanti pag. 6

[30] Appendice 9, da Bussi, cit. pag. 57

[31]Corografia fisica, storica e statistica dell’Italia”, A. Zuccagni-Orlandini, Vol. IX. Firenze 1841

[32] Calisse, “I prefetti di Vico”, ASRSP X, 50

[33] Calisse,cit. A.S.R.P., X, 50 e Pinzi, II,411

[34] ASV, Reg. Vat. 43, f. 127R e  R.F. Hon. IV, doc 487

[35] Silvestrelli cit. pag. 696

[36] “Codex Diplomaticus Dominii Temporalis S. Sedis” G. Theiner, 1861, Tomo I, pag. 292

[37] “Una ribellione contro il Vicario del patrimonio Bernardo di Coucy” M. Antonelli, vol. 20 fasc

1-2 ASRSP

[38] Idem, pag. 203

[39] Idem

[40] M. Antonelli “Relazione di Guitto Vicario del Patrimonio” A.S.R.S.P XVIII 467, Appendice 6

[41] Calisse I Prefetti di Vico”, A.S.R.S.P., X, 411

[42] “Cronache e Statuti della Città di Viterbo”, I. Ciampi, 1872 pagg. 406-407

[43] “Cronaca” Niccolò della Tuccia pag. 118

[44] “Cronaca” Niccolò della Tuccia pag. 119

[45] “Cronaca” Niccolò della Tuccia pag. 121

[46] “Cronaca” Niccolò della Tuccia pag. 122

[47] “Cronaca” Niccolò della Tuccia pag. 123

[48] Calisse, “I prefetti di Vico”, ASRSP vol X 3 pag 418

[49] “Cronaca” Niccolò della Tuccia pag. 128

[50] “Cronaca” Niccolò della Tuccia pag. 144

[51] “Cronaca” Niccolò della Tuccia pag. 152

[52] “Cronaca” Niccolò della Tuccia pag. 154

[53] A.V., Reg Vat. 365, f. 279. Ind. 117, f.70

[54] F. Bussi “Istoria della Città di Viterbo” Roma, 1742 pagg. 269, Lanzillotto “Chronica” Buonarroti, s.3 v. 4 q. 5 pag. 165

[55] Sora “I Conti di Anguillara” ASRSP vol. 30 pag. 72

[56] A.V., reg. vat. 436, f. 154. Arm 34, vol. XI, f. 113 Lagrimanti pag.8

[57] Petrucci cita una pergamena nell’Archivio Comunale; la lettera è trascritta integralmente dal Lagrimanti a pagg. 8-9

[58] A.V., Reg. Vat. 458, f. 272 Lagrimanti pag.12; da pag. 13 a pag 19 è trascritto l’atto

[59] (Reg. Vat. 465, f. 153)

[60] A.V., arm. 35, vol. 33, f.81, bolla 31 luglio 1458

[61] L’evento è anche riportato nel “Del vestarario di S. Romana Chiesa” del Galletti a pagg. 37-38, con date che sono rispettivamente 1457 e 1458.

[62] Tuccia pag. 256

[63] Tuccia, “Chronica” Buonarroti, s.3 v. 4 q. 6 pag. 207

[64] A.V., Reg. Vat. 515, f. 252

[65]Documenti e Storia di quei scrittori di Vicenza” Angiolgabriello di Santa Maria, Vicenza 1772 parte I

[66] Lagrimanti pag. 23

[67] “Cronaca” Niccolò della Tuccia pag. 108

[68] A.V., arm. 29, vol. 43, f. 33

[69] Lagrimanti pagg.23-24

[70] G. Mazzantini “Gli Archivi nella Storia d’Italia, (9 Voll. 1897-1915 vol 1-2, pag 327, archivio comunale di S. Arcangelo di Romagna

[71] Pag. 28

[72] Petrucci pag. 12

[73] P. Egidi “Soriano nel Cimino” A.S.R.S.P. XXVI

[74]G. Mazzantini “Gli Archivi nella Storia d’Italia, (9 Voll. 1897-1915 vol 1-2, pag 328, archivio comunale di S. Arcangelo di Romagna in Google Books).

[75] Lagrimanti pag. 31

[76]“Degli Archiatri Pontifici” vol. II, Roma 1784, pag. 228 sostiene che nel Novembre del 1489 fu mandato Commissario Apostolico a Vignanello Niccolò Bocciardo (o Bocciardi) Cybo, nipote del papa, Arcivescovo di Cosenza fino al 1491 e successivamente Arcivescovo di Arles, dove però sembra non andasse fisicamente. Non so da dove venga questa notizia che sembra falsa.

 “Degli Archiatri Pontifici” vol. II, Roma 1784, pag. 228

[77] ASV, E 194  2

[78] Petrucci pag. 14 testo integrale in Lagrimanti pag. 33

[79] Breve di Alessandro VI del 30 Maggio 1493

[80] Motuproprio di Alessandro VI riportato in “Regesto dei documenti di Giulia Farnese” a cura di Danilo Romei e Patrizia Rosini, Lulu 2012, pag. 90; Silvestrelli pag. 698. Il contratto di vendita è del 16 gennaio 1494  in BAV, Archivio Barberini, Fondo Colonna di Sciarra, tomo 301, cc. 3r-7r

[81] Lagrimanti pag. 34 Controllare Bolla di Alessandro VI 13 giugno 1497. Petrucci sostiene esserci una pergamena nell’Archivio Comunale.

[82] Lagrimanti pagg. 36-37

[83] Petrucci pag. 14

[84] Lagrimanti pag. 38

[85] Lagrimanti pag. 39

[86] A.V., arm. 34, vol.15, f. 4 Ind. 117, f.572

[87] Lagrimanti pag. 41

[88] Lagrimanti pag. 44

[89] Lagrimanti pag. 47

[90] Lagrimanti pag. 48-49

[91] Lagimanti pag. 50 cfr anche Egidi Soriano nel Cimino pag. 393

[92] Lagrimanti pag. 51

[93] ASR Collegio dei Notai Capitolini, vol. 176, prot. Camillo Benimebene, cc. 1049-1051 citato in Patrizia Rosini “Regesto di documenti della famiglia Franciotti Della Rovere”.

[94] Bussi pag 390, Lagrimanti pag. 53

[95] Raccolta di Notizie varie (ADCC APV vol. 105), pag. 34: “1512. Il Cardinal Chiaromonte prese possesso di Vignanello nell’anno 1512. Come si rileva da Sindacati della Comune nell’uscita dell’anno 1513.”

[96] Lagrimanti pag. 55

[97] Lagrimanti proto Notaro Merlotti Vignanello

[98] Vedi nota 96, pag. 34:”1517. Nell’anno 1517 Vignanello stava sotto il governo di Viterbo come si rileva da Sindacati di detta Comune nell’uscita del 1517 pag. 149”.

[99] Lagrimanti