La Fontana Pubblica di Vignanello “tutta di peperino perfetta”


 

 PROSPETTOA Settembre 2013 è ricorso il 340° anniversario della realizzazione della Fontana Pubblica di Vignanello, opera di Giovan Battista Contini, grande artista del tardo barocco, per anni al servizio dei Marescotti e poi dei Ruspoli, alla cui opera si deve il riassetto settecentesco di Vignanello.  E’nota come Fontana Barocca; questo termine, improprio, è dovuto ad una distorsione del termine usato dai Vignanellesi “Fontana d’a Rocca”, Fontana della Rocca, notizia fornitami da Vincenzo Pacelli. E’ stata la prima fontana disponibile per i Vignanellesi all’interno delle mura comunali, e questo, oltre alla sua storia piuttosto complessa,, ne dà il motivo della sua importanza.

La Fontana Pubblica, è situata oggi in fondo al Borgo di S. Sebastiano, e appare a chi arrivi a Vignanello da est come un fondale che chiude il lungo viale fiancheggiato dalle case a destra e dal muro di cinta della Marescotta e del Giardino Ruspoli a sinistra. Il monumento è largo circa quattro metri, e alto, alla sommità della corona, circa 5 metri.E’ realizzata, per la parte visibile, in peperino grigio, lavorato a blocchi.La sua gestazione fu molto lunga, e fra il momento della decisione di dotare il paese di una Fontana che fosse nel paese e la sua realizzazione trascorsero ben 18 anni. La posizione attuale della Fontana potrebbe non essere quella originale, in quanto i documenti parlano di una Fontana nella “Piazza della Roccha”, mentre la Piazzetta dove è attualmente viene sempre citata come Piazza della Porta Piccola, dalla non più esistente Porta che permetteva l’acceso al paese da Borgo S. Sebastiano. Questo aspetto merita un ulteriore approfondimento. Qual è l’origine della fontana? Sforza Vicino Marescotti, IV Conte di Vignanello, figlio di Marcantonio e marito di Vittoria Ruspoli, fece testamento il 20 Dicembre 1655, poco prima di morire . Per quel che riguarda la Fontana di cui ci stiamo occupando, il passo del testamento è il seguente:

“Item lasso alla Com.tà di Vignanello in vece di tutti il danni, et incommodi che avesse fatti in occasione di fabbriche, impire il Pozzo di neve, et alto, che à spese dei miei heredi nella Piazza della Rocca, quale si accomodi un canaletto d’acqua vergine perfetta da bever, et anco se questa non bastasse per empire un vaschione per servitio di dar acque per bucata, far pane, e simili, dargli anco un altro canaletto di ritorno dall’Acqua del Giardino”. I danni a cui Sforza si riferisce, sono legati alle complesse vicende di qualche anno prima, che videro aspri contrasti, culminati anche in assassinii, fra i conti e i vignanellesi.

Si può dire che la storia comincia qui. La Fontana viene realizzata da Francesco Marescotti, figlio di Sforza Vicino, solo nel 1673, cioè diciotto anni dopo la morte del padre. In quel momento il titolare del Feudo era il cardinale Galeazzo Marescotti, che però lo aveva lasciato in gestione al fratello Francesco a causa delle numerose incombenze che la sua carica gli imponeva. Sul perché di questo ritardo non si sono trovate motivazioni: forse solo dispute sull’eredità o mancanza di fondi. Comunque sia il Primo Marzo 1673 viene steso e firmato l’ “Obligo di Giuseppe Catani scarpellino di fare la fontana di Peperino in Vignanello fatto a favore del Sig. Co: Fran.co Marescotti” .Il prezzo pattuito è di 93 scudi, di cui 25 pagati al momento della firma.

I tempi sono perentori: due mesi e mezzo per la realizzazione a partire dallo stesso giorno, l’impegno del Conte di mettere a disposizione dello scalpellino i muratori e di far estrarre le pietre necessarie in loco. Tuttavia, il trasporto delle pietre e la loro eventuale sostituzione in caso di rottura erano a carico di Giuseppe Catani. Vedremo che poi le cose andranno in modo diverso.

La Fontana andava realizzata conforme ai disegni e al modello consegnato al Catani; nel documento non è citato il nome di colui che aveva realizzato modello e disegni. Tuttavia, che fornisce tutte le spese sostenute per la realizzazione in loco, asserisce che il disegno è opera dell’ Architetto Giovan Battista Contini. Va ancora sottolineato come l’obbligo insista molto sulla qualità dell’opera, che deve essere realizzata tutta in peperino, anche nella parte posteriore, senza muro, il che ovviamente questo potrebbe far pensare che la Fontana fosse concepita e realizzata per essere isolata. Vedremo però che questo contrasta con una nota riportata quasi in fondo alla lista delle spese.

 STEMMA MARESCOTTI                       LO STEMMA MARESCOTTI BICHI PER INSERIMENTO            STEMMA BICHI

GLI STEMMI MARESCOTTI BICHI E AL CENTRO LO STEMMA DELLE DUE FAMIGLIE SULLA FONTANA CHE RICORDA

FRANCESCO MARESCOTTI E SUA MOGLIE GIROLAMA BICHI

Una differenza fra la versione disegnata e quella realizzata è relativa allo stemma. Nel disegno, esso rappresenta a sinistra lo stemma Marescotti e a destra lo stemma Farnese, prima famiglia ad essere infeudata, col ramo di Latera, di Vignanello come contea, mentre nella realizzazione, così come richiesto nell’obbligo, a sinistra appare ancora lo stemma Marescotti, ma a destra quello della casata della moglie di Francesco, Girolama Bichi. Gli anni sono passati e la situazione familiare è cambiata. Girolama fu poi protagonista di una lunga controversia con Francesco Maria Ruspoli per il possesso dell’eredità Marescotti, ma questa è un’ altra storia.

La scritta invece è la stessa:

“SFORTIA LEGAVIT, ET FRANCISCUS SOLVIT, ET AUXIT SUME MARISCOTTAE   DONA   PERENNE    DOMUS MDCLXXIII”

LA SCRITTA

Ma chi era lo scalpellino chiamata a realizzare la Fontana? Nell’obbligo lui stesso si definisce “figliolo del quondam Giovanni di Livorno”. E’ l’inizio di una lunga tradizione che vedrà i Marescotti e i Ruspoli impiegare artigiani non locali per la realizzazione delle parti pù significative delle opere.

Nel 1700 nella Parrocchia di Santa Maria del Popolo, Rione Campo Marzio, abita in Strada Laurina, nella casa n. 25, Giuseppe Catani, livornese di 55 anni, di professione scalpellino, con la moglie Elisabetta Picchitelli romana di 51 anni, e le figlie Santa e Caterina entrambe di 28 anni, e quindi molto probabilmente gemelle. L’ attività dello scalpellino è documentata, nella seconda metà del XVII secolo presso la bottega al Corso gestita in società con Michelangelo Picchitelli, quest’ultimo con molte probabilità parente della moglie. Nel libro non è citata alcuna opera. A meno di ulteriori verifiche, la Fontana di Vignanello potrebbe essere l’unica opera documentata dello scalpellino, che comunque doveva avere in quell’anno 1673, all’età di 28 anni, già buona fama, per essere chiamato dal Conte Marescotti a fare un’opera importante per il feudo di Vignanello. Viene anche segnalato al servizio di Filippo Giuliano Mancini duca di Nevers .Giuseppe morirà all’età di 77 anni, il 18 Luglio 1720 (la morte verrà registrata il 19), presso la propria abitazione in Strada Margutta dove viveva con la seconda moglie Domenica Antonia Tarquini. In altra occasione egli stesso aveva dichiarato la sua origine livornese.

Giuseppe Catani, allora ventottenne e un suo assistente, forse il Pieradoni citato in fondo alla lista come scalpellino, vanno a cavallo a Vignanello martedì 7 marzo 1673, una settimana dopo la firma dell’obbligo. Il lavoro di costruzione fu fatto in 52 giornate di calendario, concentrate principalmente  fra Marzo e Giugno, quindi con una media di 13 giornate/mese.

Le attività iniziano con la scelta delle pietre necessarie per la realizzazione della Fontana. Fra il 9 e l’11 Marzo Domenico Andreocci mette allo scoperto il peperino nella zona del fosso di Puliano. L’ attività dovette proseguire con il taglio delle pietre e il trasporto delle stesse da Puliano al sito della Fontana.

La cosa non dovette andare liscia, perché il 21 e il 22 Marzo vengono effettuati pagamenti al cocchiere Vincenzo di Belardino e a Biagio Mancia per aver aggiustato la strada per il carro, che si era rotto in uno dei primi trasporti. Infatti il 22 Marzo viene pagato Paolo Stefani per aver carreggiato le pietre ma anche per aver aggiustato il carro rotto. L’attività di cavatura delle pietre proseguiva anche grazie all’opera di Camillo Mazzano.

Il percorso dal Fosso di Puliano al sito della Fontana è lungo un pò più di 500 metri, ma la strada, soprattutto il primo tratto dal Fosso a San Sebastiano, è piuttosto ripida. Le pietre cavate, cosi come i sassi necessari per la struttura della Fontana, venivano trasportate le prime con carri trainati da buoi, i secondi, di tufo, con somari.Mentre l’opera di estrazione delle pietre, dei sassi e della pozzolana andava avanti insieme al loro trasporto, si iniziava ad apprestare il cantiere.

Fra il 29 Marzo e il 6 Aprile viene costruita una capanna a protezione del sito su cui stava per essere eretta la Fontana.Vengono iniziati i lavori di scavo delle fondamenta, che sono attestati a più riprese, con l’intervento di due Mastri, Giuliano (non è riportato il cognome, ma è sicuramente il Giuliano Uri che seguirà anche la costruzione del Portone del Molesino) e Martino Spazza, e la cooperazione di altra manovalanza. I lavori di scavo sono documentati dal 19 fino al 24 Aprile, per un totale di 10 giornate/uomo.

Gli inconvenienti ai carri sono frequenti; si cercava di attenuarli usando come lubrificante il sapone, ma le rotture e le conseguenti riparazioni, che avevano come risultato il rallentamento delle attività, sono documentate a più riprese. Mastro Antonio Pangrazi falegname riceve il 21 Giugno 4 scudi e 10 baiocchi “per accomodatura in più volte del carro”.

Le attività di costruzione cominciano ad essere documentate dal 24 Maggio, con l’intervento di molti muratori. Continuano fino a fine Maggio, per poi riprendere l’ 11 Giugno e terminare verso la fine di Giugno. Alla Fontana lavorarono fra i quattro e i sei muratori al giorno. La paga media era di 40 baiocchi per i mastri e 20 baiocchi per i muratori/manovali.

Nel frattempo gli scalpellini effettuavano il proprio lavoro, scolpendo le pietre di peperino.

Fra Luglio ed Agosto vengono approntati i ferri necessari per legare i vari elementi in peperino e i condotti in piombo.

Il 23 Agosto 1673 i due scalpellini tornano a Roma. La loro opera è terminata, ma non la Fontana. Non è chiaro cosa facessero gli scalpellini nell’ultimo periodo, probabilmente assistenza al lavoro dei muratori, o forse scolpivano le armi Marescotti-Bichi.

I lavori di completamento vanno avanti. A metà settembre interviene lo stagnaro per le connessioni idrauliche, e ancora i mastri muratori per alcuni altri lavori, forse per completare la parte posteriore di appoggio alla casa.

Una nota interessante è quella relativa al pagamento per l’appoggio della casa:

Adì 2 9bre [il mese è di difficile interpretazione, ma la nota è sicuramente posteriore a settembre] 1673 pagato a Biagio di Belardino Anselmo per l’appoggio della fontana nella sua casa scudi 1”.

Quindi la fontana fin dall’inizio, o comunque al compimento dell’opera, era appoggiata contro una casa.

Il Catasto Gregoriano del 1819-1821 ci fornisce una situazione della zona della Fontana ìn quel momento, anche se la casa su cui è attualmente appoggiata la Fontana è indicata come proprietà di Giuseppe Bracci fu Filippo (particella n. 537).

La documentazione esistente ci consente anche di elencare le paghe giornaliere per le persone e gli animali. Il mastro muratore percepiva 40 baiocchi al giorno un manovale uomo 20, una donna 7,5… Quindi le donne, normalmente utilizzate in lavori di supporto prendevano poco più di un terzo degli uomini. Per gli animali il bue valeva 5 baiocchi al giorno mentre l’asino 10…Evdentemente era considerato più importante!

L’ impegno complessivo fu di 168 giornate/uomo, comprendendo anche i “vetturali” cioè i conduttori di animali, che spesso erano diversi dai proprietari degli stessi. Non abbiamo evidenza della durata di una giornata tipo di lavoro, che comunque doveva essere variabile, a causa del sorgere e del tramontare del sole, ma possiamo pensare ad una media ragionevole di cinque/sei ore il giorno.

Per quanto riguarda il trasporto delle pietre, sassi, pozzolana e calce, si tenga presente che i somari venivano usati per carreggiare i materiali più leggeri, come il tufo, la pozzolana e la calce, mentre ai buoi era affidato il trasporto delle pietre di peperino.

Furono impiegate 80 giornate di somaro, con un massimo di 16 somari nello stesso giorno, e precisamente il 24 Maggio. I buoi effettuarono, normalmente in coppia, 98 viaggi in 13 giorni  per trasportare il peperino: uno sforzo notevole, con una media di 7,5 viaggi al giorno.

La fontana fu quindi completata in poco più di 6 mes, tempi sicuramente ottimi, a testimonianza del’impegno del committente e di chi realizzò l’opera. Oggi mantiene ancora la sua maestosità, ed, ad un esame un po’ più attento, rivela ancora, guardando le dimensioni dei vari conci, le difficoltà che si dovettero incontrare nel costruirla. Porta i segni dei colpi sparati dai Francesi alla fine dell’800, e lo stemma della famiglia Bichi è parzialmente scalpellato via. I motivi di questo fatto al momento non sono stati ritrovati . Le sue condizioni non sono particolarmente buone (meriterebbe un attento restauro). Ma nonostante tutto, comprese varie peripezie legate alla sua alimentazione, che ancora oggi avviene attraverso l’antico percorso dei “Connutti”, è ancora lì al servizio dei Vignanellesi, testimonianza di storie e passioni indimenticabili.

 

 

Nota bibliografica

Per quanto riguarda le notizie sulle famiglie Marescotti e Ruspoli, così come per il Portone del Molesino, la fonte principale è il fondo Ruspoli-Marescotti conservato presso l’Archivio Segreto Vaticano, molto vasto e che contiene una enorme quantità di informazioni su Vignanello dal 1531 alla fine dell’800.

Per quanto riguarda le notizie su Giuseppe Catani, la fonte principale è “Artisti ed artigiani a Roma dagli stati delle anime del 1700,1725,1750,1775” a cura di Elisa DeBenedetti Bonsignori editore Roma 2005

© MAURIZIO GRATTAROLA FEBBRAIO 2016